venerdì 23 marzo 2007

"La vita degli altri" inizia e va avanti come un film intensissimo e profondo, specialmente per noi che abbiamo guardato alla Germania Orientale come a qualcosa che aveva un valore. L'orribile apparato di potere e corruzione, composto da viscidi grassoni, mette uno dei suoi uomini migliori, una spia molto professionale che crede veramente nel socialismo e che ha un'aria ascetica e scavata e occhi azzurri pensosi, alle calcagna di due artisti, drammaturgo e prima attrice con i capelli e gli occhi scuri e un sex-appeal atipico a Berlino Est. Il drammaturgo e' apparentemente fedele al regime, e' anzi un po' il suo fiore all'occhiello perche' e' fedele ma bravo, e ha quindi un seguito anche all'ovest. La spia viene portata da suo diretto superiore a vedere la prima dello spettacolo. Le prime battute riguardano una profezia della protagonista, e il suo dolore per avere questo terribile dono della profezia. Riconosciamo il riferimento a Cassandra, che e' stato il libro piu' importante della nostra giovinezza, e continuamo a guardare questo intreccio di fisicita' che ci sta veramente dando qualcosa. Perche' aldila' del tono cretinamente ironico che ho usato fino adesso, la spia che viene affascinata dalla cultura e dallo stile di vita degli spiati, dai loro dubbi ma soprattutto dalla loro convinzione nella forza dell'arte (non tanto loro quanto dell'uomo, essendo l'attrice l'anello debole di tutto l'ambaradan, come vedremo)come antidoto al veleno del potere e del conformismo e'davvero forte. In un trionfo dell'umanesimo che mi ha fatto tremare dall'emozione, la spia prende partito, si schiera completamente, interferisce direttamente con le decisioni degli spiati, riesce nell'intento di salvare le vite degli altri anche quando la vacillante attrice tradisce il compagno, perche' non regge l'esclusione dal mondo del teatro decretato segretamente dal laido ministro dello spettacolo che si era invaghito di lei e al quale lei ha rifiutato i suoi favori. Ma la spia puo'ancora salvare tutti, sacrificando la propria carriera e il proprio prestigio.
A questo punto un embolo deve essere partito nel cervello dello sceneggiatore e regista (saranno i geni della nobilta' ereditati col cognome von Donnersmark), non c'e' altra spiegazione: negli ultimi 25 minuti l'intero film si disintegra sotto i miei occhi attoniti, con il suicidio dell'attrice che confonde totalmente il focus della vicenda, aggiunge una tragicita' da paziente inglese che proprio non dice niente, e con minuti e minuti di ricerca negli archivi, drammaturgo che guarda dal finestrino la spia della quale ha tardivamente compreso il sacrifio, e ancora due anni dopo, e poi due anni dopo, e poi il drammaturgo che scrive un libro sulla spia, una confusione, uno spappolamento. A mio modesto parere, se la tipa non si fosse suicidata ma semplicemente chiusa nella sua stanza e uscita di scena, la spia avesse salvato il drammaturgo e accettato stoicamente il declassamento, e l'ultima scena fosse stata lui che sente dal collega dell'ufficio affrancature che il muro di Berlino e' caduto, e silenziosamente esce dalla stanza seguito dagli altri, questo film sarebbe stato un capolavoro, oscar o non oscar.
Cosi' mi si e' proprio sviluppato un risentimento nei confronti del regista e dei suoi amici. Possibile che nessuno abbia avuto il coraggio di dirgli che il suo evidente amore per l'attrice che interpreta l'attrice, e che non ha caso e' il primo nome dei titoli quando e' ovvio che i personaggi piu' interessanti sono tutti gli altri, lo stava conducendo verso la fetecchia? Per fortuna il giorno dopo ho visto Last king of Scotland.

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