mercoledì 15 settembre 2010

Cosimo si è svegliato male, stamattina, gridando. Quando suo padre l'ha portato in cucina gli ho chiesto cos'avesse sognato. "Caduto dalla motobicletta", mi ha risposto. (Quando qualche giorno fa è morto il motociclista Tomizawa, in un ristorante cinese dove stavamo la sequenza era trasmessa e ritrasmessa da un grande televisore, Cosimo mi ha chiesto cosa fosse, gli ho risposto che un ragazzo era caduto dalla motocicletta, pòro cocco, e lui ha continuato a ripetere, mentre le immagini continuavano a scorrere, saranno continuate per venti minuti, "caduto dalla motobicletta... piange...)
Non ho capito ancora se Cosimo ha presente cosa chiedo, quando chiedo cosa ha sognato. Risponde però, dopo averci pensato, ad agosto mi rispondeva spesso "piscina".
Poi è andato all'asilo come tutti i giorni, mentre io traccheggio davanti al computer perché devo andare a sostenere una conversazione sgradevole e pesante sul lavoro, e non c'ho voglia.
Penso spesso a quanto mi colpì il racconto Evelyn su Dubliners di James Joyce, quando lo lessi a 19 anni, quanto mi sembrò bello e profondo.

lunedì 23 agosto 2010

Forse Pina Bausch
non si faceva vedere spesso
se è morta
per un tumore
diagnosticato
cinque giorni prima.
Aveva di meglio da fare
che andare dal dottore.
Per esempio fumare
assemblare passaggi
inserire distorsioni
replicate da un ricordo
di afa bruciante
o di ansia che assomigliava a noia
o di quant'altro -
osservare le persone
come si muovono
come portano il cibo alla bocca
come rattrappiscono
se all'improvviso
un rumore sconosciuto le spaventa.
Come provano le scarpe
infilandole, poi muovendo il piede
i tendini e le ossa delle dita,
valutandosi le caviglie a occhio
o nello specchio.
Come la seta o il raso
si allisciano sulla pelle e sul sudore,
premute dai palmi delle mani.
Il cik cik cik delle foglie morte
sotto le varie incombenze umane.
Parlava pensando a occhi bassi
le piccole palpebre come ali di farfalle
poetiche, agitate.

martedì 10 agosto 2010

Ho capito che eravamo arrivate quando, dal finestrino del treno, ho visto la grande cupola, una torre e un campanile svettare tra un buon numero di case e palazzetti. Molto italiano.
Si era ironizzato per tutto il viaggio sulla 126 che avrebbe avuto la suora, anche se in realtà Marica propendeva più per la Panda. Invece la suora aveva la Multipla, e ci siamo sedute tutte e tre davanti.
La casa era un villino bellissimo, con cespugli fioriti davanti e un giardino ombroso sul dietro. Ho fantasticato brevemente sulla pia anziana che deve averlo lasciato in eredità alla chiesa. Ragazze con magliette larghe e pantacollant sedevano su sedie di plastica bianca sotto l'oleandro, sorridevano senza mostrare i denti, molto enigmatiche.
La suora ci ha fatto passare nello studio, con i cuscini ricamati sulle poltroncine, la foto di Ratzinger e di qualche prelato locale che non ho riconosciuto, il cordless, il fax. Ci ha raccontato di una ragazza che ha perso cinque lavori uno dopo l'altro, non è matura, si adombra a ogni no. Non ha voglia di lavorare, "vuole vivere come un'adolescente", ha detto testualmente la suora, "andare sempre in giro e fare sesso tre volte al giorno". Per alcuni secondi Marica e io ci siamo distratte dietro l'immaginario della suora sull'adolescenza di oggi.
Siamo state a pranzo tutte insieme, noi, due suore, varie ragazze. La suora ci ha elencato contenta la provenienza di ognuna, per sottolineare l'internazionalismo della tavolata. Il primo era pasta con un sugo di carne molto denso. A centro tavola, grandi insalatiere erano piene di pomodori da prendere e affettarsi ognuna per conto suo. I cetrioli invece erano già tagliati. Un'altra immagine di Ratzinger sul muro della cucina (la cucina abitabile, come ha sottolineato la suora), un ritratto su fondo dorato dai colori cangianti, e vicino una Madre Teresa dipinta con la stessa tecnica. La maggiorenna romena accanto a me ha fatto dei gesti furtivi alla minorenne romena che avevo davanti, secondo me di scherno razzista verso la ragazza nigeriana che mangiava una pesca. Ma magari mi sbaglio.
Una delle ragazze che mancava frequenta un corso di pasticceria della provincia, annuale con rilascio di attestato, e la sera prima aveva portato un semifreddo preparato per l'esercitazione.
La suora ha distribuito delle belle fette su piattini da tè a fiori. Era bianco e rosa. A me è piaciuto.

venerdì 11 giugno 2010

Aspettavo che mi raggiungessero gli altri, e sono entrata in libreria per ammazzare cinque minuti. C'erano pile di tascabili in offerta per l'estate. E' stato dolce notare come le pile più erose fossero quelle dei testi che si portano all'esame di maturità: "Uno nessuno centomila", "La coscienza di Zeno", "I Malavoglia".
Ho individuato tre libri che tornerò oggi a comprare.
Intanto sto finendo l'ultimo dei tre che mi ha prestato Giovanni. "Non capivo che cosa stesse facendo. Non mangiava, anche se il suo piatto era stato riempito. Avevano tutti già cominciato a mangiare ma lei non mangiava. Neppure il cacciatore di schiavi mangiava. Non si era tolto la bustina di pelliccia fissata con una spilla. Si guardava attorno e sorrideva con la sua bocca larga. Però a un certo punto ho visto che stava facendo un cenno a lei, che sedeva immobile al suo fianco. E allora lei ha cominciato improvvisamente a mangiare. Masticava piano, a lungo, con i suoi denti d'oro che si muovevano sotto le sue belle labbra. Sembrava non smettere mai di masticare sempre lo stesso boccone. Non lo inghiottiva mai.
D'un tratto il cacciatore di schiavi ha sollevato il suo piatto, lo ha avvicinato alla testa di lei, glielo ha messo sotto la bocca. E lei ha cominciato a rigurgitarci sopra il cibo che aveva così a lungo masticato, spingendolo fuori con la lingua, andandolo a cercare sulle gengive e attorno ai denti, staccando alla fine con le dita gli ultimi frammenti che le erano rimasti attaccati alle labbra mentre glielo rigettava nel piatto.
Il cacciatore di schiavi ha rimesso il piatto davanti a sé, ha cominciato a mangiare quella poltiglia. Se la portava alle labbra con il cucchiaio e poi la inghiottiva senza più masticarla, mentre tutti gli occhi erano fissi su di lui, su di noi.
<> mi ha detto d'un tratto, venendomi vicinissimo con la testa mentre guardavo senza fiatare, impietrito. <>
Non la vedevo bene, ma capivo che lei continuava a masticare e poi a rigurgitare il cibo, e poi lui lo mangiava.
"Che sia per quello che ha i denti d'oro?" mi passava intanto per la mente, mentre mi guardavo attorno senza vedere, in quel bagliore di diademi e luci. "Che gli abbia fatto sfondare i denti che aveva prima solo perché deve masticare il cibo per lui?" E mi sembrava persino di cogliere persino, sui volti di molte di quelle meravigliose ragazze poco più che bambine, in abito da sera, scollate, lampi di ammirazione e di invidia mentre fissavano da tutte le parti lei che stava masticando e poi rigettando il cibo per lui che lo inghiottiva assorto, commosso, e forse avrebbero desiderato farsi sfondare a loro volta i denti a calci per poi poter essere loro, con i loro nuovi denti d'oro, le elette a masticare e poi rigurgitare il cibo per il cacciatore di schiavi."
E' Antonio Moresco, da "Gli incendiati".

martedì 9 marzo 2010

La signora pakistana sale sull'autobus semivuoto mentre inizia a nevicare forte. Veste in modo tradizionale, il velo dai colori accesi, pantaloni larghi chiusi alla caviglia con sopra una giacca a vento. La figlia che tiene per mano è molto magra, molto dolce, deve avere dei problemi di salute. I due uomini pakistani seduti vicino a me la riconoscono, e ad alta voce le mandano un saluto che io percepisco come "Salham Aleik".
L'etimologia della parola salamelecco (secoli e secoli di rapporti, incomprensioni e curiosità tra Oriente e Occidente) prende vita davanti ai miei sensi.