lunedì 10 settembre 2007

Dopodomani, 12 settembre, esce per Rizzoli il libro di Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue. Per come sono messa, non so nemmeno se avrò i soldi per comprarlo. Ma spero di sì perché mi incuriosisce moltissimo.
Oggi ho appreso dai mezzi di comunicazione di massa che una famosa giornalista della televisione tedesca è stata licenziata perché, nel corso della presentazione di un suo libro, ha affermato che il nazismo ha sì fatto cose orribili, ma anche cose positive, soprattutto per le donne, "ha difeso i valori della famiglia, tenendo in considerazione bambini e madri". Possiamo forse negare che il nazismo abbia difeso i valori della famiglia, tenendo in considerazione bambini e madri, esattamente nei termini in cui viene oggi difesa la famiglia dai difensori della famiglia, almeno in Italia? No, non possiamo negarlo. Allora, che questa dura realtà ci serva a mettere i discussione questi valori, che portano ancora tante personcine che si sentono minacciate a stringersi intorno ai vari Casini, Fini, Binetti ecc. La famiglia come feticcio, la maternità come assoluto sono di per sé valori nazisti. Richiamano un concetto di ordine sociale immutabile, che demonizza la differenza e il multiforme. Ad Atlanta ho visto una mostra molto bella al CDC, sulla storia dell'eugenetica. Tutti i principi che hanno portato il nazismo ai campi di sterminio sono stati elaborati dal pensiero borghese dei primi del Novecento, in nome della tenuta della società. Ed era davvero inquietante vedere come gli slogan a favore della famiglia, cellula sana della società sana, che imperversavano durante il Nazismo, fossero uguali, dico uguali, a quelli così in auge oggi in Italia (e negli Stati Uniti, pure - non so in Germania).
Detto questo, una vera stronza la giornalista tedesca. E anche cretina al punto da farsi scoprire: le idee sulla famiglia del family day non sono molto dissimili da quelle di Hitler, ma gli scaltri politiconi cattolici si guardano bene dal citarlo. Impara, tonta!

9 commenti:

Lemke ha detto...

Non ti seguo. Non capisco perché , se il nazismo ha fatto azioni in grado di tutelare bambini e madri, automaticamente questi debbano essere dei valori “nazisti”. Un valore è tale finché viene percepito come tale. E se il “nazismo” ha operato in questa direzione, a mio modo di vedere è perché sapeva di dover attingere a piene mani dal più puro populismo, per smorzare agli occhi dell'opinione pubblica la sua immagine violenta. Il concetto di famiglia è ben precedente al nazismo. D'altra parte non si può negare che i dittatori abbiano sempre avuto a cuore una visione pesantemente retorica di famiglia: “Dio, Patria e Famiglia” erano gli slogan di Francisco Franco e Pinochet. Tuttavia quando questa visione strumentale della famiglia ha effetti concreti positivi (vedi la legge sulla maternità in Italia, nata proprio durante il fascismo), non si può banalmente bollare la cosa come propaganda, e non tenere conto degli effetti positivi che, oggettivamente, una tale riforma portava alla vita quotidiana delle persone. Se il nazismo avesse creato un ponte, questo ponte sarebbe "sbagliato"? E anche ammettendo che il ponte fosse costruito per trasportare più rapidamente le truppe verso la Polonia, non avrebbe comunque una serie di elementi positivi che vanno presi in considerazione? Se lo stesso ponte l'avesse costruito l'esercito britannico per massacrare meglio la popolazione di Dresda, sarebbe immediatamente e comunque un ponte “buono”? Quello che ritengo il punto essenziale, e che non scorgo nella tua critica, non è tanto il capire se la “famiglia” sia un valore progressista o conservatore, piuttosto il fatto che, dietro il paravento di “tutela della famiglia”, di per sé condiviso praticamente da tutti (chi direbbe mai che non bisogna amare le mamme coi loro bambini), vengono fatti passare alcuni “retrovirus” che con l'amore per la famiglia non c'entrano nulla; come in un sillogismo in malafede, si vuole contrapporre la famiglia, per la precisione la “loro” visione della famiglia, a tutto ciò che non rientra in questi canoni. E questo sì è un atteggiamento inaccettabile.

Barbara ha detto...

Scusa ma le leggi sulla maternità del fascismo sono le leggi speculari alla tassa sul celibato. No, non le trovo positive. E' proprio quello che intendo: volere bene alla mamma e ai bambini è giusto e (forse) naturale. L'idea che la famiglia sia solo mamma babbo bimbi, che nasce essenzialmente con la nascita della borghesia e che sì, è precedente al nazismo ma è nazistoide, usando con libertà il concetto, non può portare a niente di positivo anche se il corollario può essere una qualche legge contingentemente positiva. Nelle leggi per la maternità naziste, fasciste, staliniste (praticamente identiche), con la loro enfasi sull'alta natalità e sul ruolo in casa della donna, speculare alla totale mancanza dei diritti femminili nel mondo del lavoro, io ho difficoltà a vedere qualcosa di positivo. Sì magari i bambini andavano in colonia. Ma sarebbe come osservare che i treni arrivavano in orario, secondo me.

Lemke ha detto...

Non sono del tutto in disaccordo. Il fatto è che bisogna inquadrare storicamente il discorso. Certo, viste con gli occhi di oggi, certe iniziative possono sembrare conservatrici, legate ad una visione a dir poco “tradizionale” di famiglia e del ruolo della donna. Al contrario, in una realtà come quella degli anni '20, leggi a favore della famiglia o della maternità non possono esser viste come “reazionarie”, ma invece, schiettamente progressiste. Inoltre bisogna separare il discorso relativo alle motivazioni che portano a emanare certe leggi, con gli effetti, certamente positivi, che queste iniziative hanno avuto nella vita quotidiana delle persone. Ti ricordo che prima della II guerra mondiale, era considerato assolutamente disdicevole che una signora maritata lavorasse, e che il massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro avviene come conseguenza delle necessità belliche. Il lavoro femminile non era considerato un valore condiviso, anzi! Quello su cui sono invece d'accordo con te è che non si può, oggi, intervenire in un discorso sulla famiglia citando la “bontà” delle leggi dittatoriali, senza contestualizzare storicamente e senza sottolineare la funzionalità alle necessità del regime di determinate iniziative. Ma sono due discorsi diversi e paralleli, un po' come se scorressero, l'uno nella “grande storia”, l'altro, nella vita quotidiana delle persone.

Barbara ha detto...

Se le leggi fasciste sulla maternità fossero state così progressiste magari il ruolo della donna nella società fascista non sarebbe stato solo quello di "moglie e madre esemplare". E' chiaro che da un punto di vista storico non si può dire che solo il fascismo abbia tenuto in questo ruolo la donna, che probabilmente questa era una tendenza esistente nella società italiana (meno in quella tedesca: il nazismo rispetto alla repubblica di Weimar ha rappresentato una vera involuzione sotto tutti gli aspetti, anche quelli meno cruenti - per non parlare poi delle leggi staliniane, che stravolgono TOTALMENTE la situazione legislativa post rivoluzionaria).
Che bello, er dibbattito!

Lemke ha detto...

Ciao, in realtà ti dai la risposta da sola: non è che il fascismo abbia avvilito il ruolo della donna. Era la società italiana a dare alla donna un ruolo marginale e ben definito socialmente. Moglie e madre esemplare, e se a 30 anni non sposata, significava che era lesbica o mignotta. In tal senso il fascismo non fa nulla per cambiare le cose, però, all'interno di questo stato, crea delle leggi che rendono la situazione, se non altro, meno gravosa. Certo, quando parlo di progressismo, non intendo certo situazioni scandinave, ma nella sonnolenta e conservatrice società italiana, leggi del genere erano comunque da considerare positive, se non per le motivazioni di fondo, per gli effetti positivi che portavano nella vita quotidiana delle persone. Riguardo la Germania, il ruolo della donna è molto più stratificato. Certo la Berlino della Repubblica di Weimar era un luogo molto liberale, così come la Vienna degli anni '20. Però se consideriamo la Germania nella sua totalità, siamo certo che il ruolo della donna fose meno subalterno dell'Italia? Se escludiamo le grandi città, il nocciolo duro della Germania rurale, era davvero oggettivamente più rpogresista dell'Italia? A vedere lavori come Heimat, il dubbio sorge. INoltre riguardo il ruolo delle donne, non dimentichiamoci che nella Germania nazista, una persona come Leni Riefenstahl era forse il regista cinematografico più influente e, soto certi aspetti, libero dell'intero reich. E il suo stile di vita non è esattamente quello della mamma e moglie tradizionale.

Barbara ha detto...

Be' Leni Riefenstahl era così influente solo perché ciecamente hitleriana. Inoltre era sana, ariana, sportiva, "pagana", e i nazi ci facevano per queste cose.
Comunque, non stiamo parlando di quanto erano progressiste le società; parliamo di leggi (sulla scorta della giornalista tedesca), e le leggi sono molto spesso più avanzate del corpo sociale nel suo insieme.Leggi fatte ad hoc perché la donna rimanga, appunto "per legge", in un ruolo subalterno, senza diritti nei confronti dell'uomo, per esempio, non possono considerarsi progressiste secondo me. Poi ripeto, mandare i bambini in colonia può darsi che abbia fatto piacere a molti, e del resto il fascismo aveva molto consenso, per non parlare del nazismo. Ma il consenso non li rende meno fascisti o nazisti.

Lemke ha detto...

Non capisco che ci sia di "fascista" nel mandare in colonia, gratis, i bambini. Ho continuamente l'impressione di tu analizzi a-storicamente gli eventi: in altre parole guardi con gli occhi odierni avvenimenti accaduti in un contesto politco-sociale completamente differente da quello attuale. Se ti riferisci al fatto che in colonia i bambini venissero irregimentati in una forma paramilitare e indottrinati quotidianamente dei precetti del "perfetto fascista", questo è indubbiamente vero. tuttavia quando gli stessi bambini NON erano in colonia, vivevano in una situazione identica: la scuola italiana e il "sabato fascista" c'erano tutto il resto dell'anno l'anno! Ed io sono abbastanza convinto che nella creazione delle colonie, i gerarchi del tempo fossero sinceramente meno interessati all'elemento dottrinale che non a quello socio-sanitario. Invece il tuo approccio è che, per fare un esempio paradossale, il voto alle donne non fu un elemento progressista, ma estremamente conservatore, in quanto i partiti che lo sostennero sapevano che le donne all'epoca erano mediamente più devote e più conservatrici degli uomini e quindi dando loro il diritto di voto i partiti più tradizionalisti ne avrebbero tratto un vantaggio sostanziale. Il che, fra l'altro, non è nemmeno un'interpretazione del tutto errata, tuttavia non distingue la sostanza progressista di un atto da un effetto collaterale immediato, per assurdo, molto conservatore. Un'ultima considerazione: mi chiedo se consideri il "fare figli" in sè un concetto nazista o fascista, vista la tua veeemenza nel criticare questa pratica. Senza contare che, di quello che rimane delle "leggi fasciste" sulla maternità, oggi come oggi, ne traggono maggiore vantaggio proprio le donne "emancipate" e lavoratrici (giorni di permesso, aspettativa per maternità etc.) mentre le tradizionali casalighe ne traggono vantaggi minimi. Non è forse anche questo un controsenso?

Barbara ha detto...

Lemke, la colonia era un esempio di una cosa positiva che si perde in un impianto che marginalizza le donne (non mi riferivo all'irregimentare i bambini, mi riferivo appunto al contesto più ampio). Io personalmente non capisco cosa tu trovi di progressista nelle leggi fasciste e naziste sulla famiglia, magari se me lo specifichi la discussione sarà più chiara. Del resto non sei da solo nel considerare positive le politiche fasciste e naziste sulla famiglia, c'è la giornalista tedesca e varie altre correnti. E' interessante che citi proprio il diritto di voto, qualche mese fa ho fatto la tesi e ne ho parlato per sottolineare come sia il partito cattolico che il partito comunista lo considerassero una minaccia, non riuscendo a concepire che la donna pensasse col proprio cervello, quindi i cattolici temevano che fosse influenzata dai mariti di sinistra, i comunisti dal prete (tu dici non a torto, basandoti su chissà quali dati). Mentre per le donne impegnate in politica non c'erano dubbi che quella conquista ci avrebbe portato mille anni avanti. Di nuovo, mi interesserebbe capire per quale percorso logico tu pensi che io dovrei ritenere che dare il voto alle donne fu un elemento conservatore. Proprio mi sfugge il ragionamento. Ma di nuovo, non è che devi cambiare idea, se pensi che il fascismo e il nazismo fecero leggi positive per le donne, tranquillo. Tra l'altro questo post non era storico, diciamo così, ma faceva riferimento all'uso che viene fatto oggi, nell'epoca del family day, dei valori della famiglia. Che io aborro. Invece, quel che penso del fare figli verrà delucidato molto presto in un post che dedicherò all'argomento.

Lemke ha detto...

Credevo di essermi spiegato, ma evidentemente non è così: probabilmente il mio amor di polemica mi ha preso la mano. Tuttavia rileggendo i vari interventi, non posso fare a meno di notare come sia stata tu a definire "nazistoide" ante litteram la forma di famiglia tradizionale. Opinione legittima, per carità, ma non condivisibile. Quello che invece ritengo sia giusto definire nazistoide, o meglio, dogmatico, è considerare la famiglia tradizionale come l'unica forma di famiglia possibile o contrapporla ad altre forme di condivisione degli affetti, come in modo evidente viene suggerito da chi, marciando per leggi a sostegno alla famiglia ed alla maternità (argomento sul quale è difficile trovarsi in disaccordo), subdolamente crea una contrapposizione fra questa forma di condivisione degli affetti "giusta" e "naturale" e altre forme di famiglia, più o meno implicitamente da considerare "deviate" e "innaturali". Ma queste considerazioni sono riferite ad oggi, in un momento in cui, non è un caso, in certi stati sono state accettate giuridicamente forme di "famiglia" molto distanti da quella tradizionale, ed il dibattito su questi temi, non a caso, ha portata globale. Indice che semplicemente i tempi sono maturi per affrontare questi argomenti. La frase della giornalista tedesca che ha innescato la discussione, è una stronzata. E' una stronzata perchè anche lei distorce e decontestualizza i vari elementi: dire -"a quell'epoca esisteva anche qualcosa di buono come i valori, i bambini, la famiglia, la solidarietà" e che "tutto questo è stato distrutto" - esplicitamente significa dire che col nazismo sono stati creati e difesi questi valori. La mia idea invece è che il nazismo ed il fascismo abbiano USATO questi valori, in maniera estremamente funzionale ai loro scopi. I valori pre-esistevano e, ritengo fossero largamente condivisi. Il nazismo, per prendere il potere, si fa paladino di questi valori, dice: "vedete, noi condividiamo gli stessi vostri valori". Se questa mia intepretazione è vera, allora, non ha senso dire che le leggi sulla maternità erano naziste, perchè semplicemente si inverte il rapporto causa effetto. Il nazismo ha fatto leggi sulla maternità di un certo tipo perchè era la società a richiederle. Per finire, in Italia è stata introdotta solo nel 1934 la legge che tutela permessi retribuiti ed aspettative col mantenimento del posto di lavoro, alle madri. La situazione precedente semplicemente non le prevedeva. In altre parole l'alternativa all'epoca non era fra leggi a sostegno della famiglia tradizionale e leggi di apertura forme non tradizionali di famiglia, ma fra "fai un figlio? fatti tuoi", o dire "fai un figlio? hai delle tutele sociali". Poi è giusto e condivisibile discutere sulle finalità di queste leggi e sulla strumentalizzazione che ne venne fatta a fini propagandistici, ma le leggi, in sè, faccio fatica a non considerarle cocialmente innovative e progressiste. Spero di essermi espresso meglio.